Il dono della sintesi

Esercitazione 1

Abbreviare e alleggerire un testo

 

Premessa

I testi creati per le pagine Web devono essere chiari e brevi: la lettura a video è disagevole e chi naviga non intende trascorrere molto tempo in Rete per reperire le informazioni che gli servono. Dunque, occorre abituarsi a sintetizzare i testi che nelle prime stesure nascono piuttosto lunghi e con uno stile troppo "letterario".

Indicazioni bibliografiche

A. Perissinotto, Il testo multimediale, Utet Libreria, Torino 2000 (par. 2.2.1 pag. 19)

L. Carrada, Scrivere per Internet, Lupetti, Milano 2000 (pp. 45-63)

 

Obiettivo

Il testo che segue si compone di 672 parole per un totale di 4260 caratteri (spazi compresi): riducilo ad un massimo di 2500 caratteri e scrivilo con uno stile chiaro e scorrevole, ma fai in modo che esso non perda nessuno dei suoi contenuti informativi.

 

Collocazione del testo rielaborato

Il testo così abbreviato dovrà trovare posto in un sito dedicato alla storia dei media e destinato a studenti delle scuole superiori.

 

Procedimento

Per effettuare la riduzione ricorda che puoi operare attraverso:

·         la cancellazione delle parti sovrabbondanti

·          la generalizzazione di termini aventi qualcosa in comune, cioè la loro sostituzione con un solo termine di valore semantico più generale (es. «I cani si misero ad abbaiare, i gatti a miagolare, i cervi a bramire, i pulcini a pigolare, i lupi ad ululare» ð «Gli animali si misero a fare versi»)

 

Per semplificare lo stile ricorda che puoi:

·          Semplificare i periodi riducendoli a successioni di frasi nucleari (ovvero Soggetto+Predicato+Complemento) [per approfondimenti vedi: http://home.sslmit.unibo.it/~baroni/prandi02_03.pdf] .

·          Sostituire la costruzione passiva con la costruzione attiva (es. «L'attacco di Pearl Harbour fu lanciato dai giapponesi» ð «I giapponesi lanciarono l'attacco di Pearl Harbour»)

 

 

Il testo da trasformare

 

Lo sviluppo delle Gazzette in Francia e l'opposizione dei filosofi

Il caso della Francia è più complesso, ma, nell'insieme, anch'essa è in ritardo sulla Gran Bretagna, a dispetto dell'anglomania che fiorisce a partire dagli anni 1740-1750. Ha il suo peso l'assenza di un parlamento nel senso britannico del termine e dell'alternanza di due partiti. Ma soprattutto bisogna notare che, nello spirito delle élites politiche e letterarie, la distinzione tra libri da un lato, e periodici dall'altro rimane più forte che oltre Manica. In generale, sono i libri, e non la stampa periodica, a promuovere e chiarire il pensiero dei filosofi. Quando i filosofi si radunano, non pensano a fare un giornale o una rivista, ma piuttosto l'Enciclopedia. Quando parlano della «libertà di stampa», intendono quella dei libri e degli opuscoli vari, e non quella dei giornali. Essi sono così, in generale, ostili alle gazzette, mentre, dall'altra parte, per lungo tempo i giornalisti più brillanti ottengono notorietà duellando contro i filosofi stessi. Le querelles nelle quali si affrontano Fréron e Voltaire sono celebri. George Weill, nel suo grande libro, riporta parecchie filippiche dei filosofi dirette contro i giornali. Ed ecco qualche esempio preso dai più illustri: Voltaire, Diderot, Rousseau e Montesquieu.

Voltaire detesta i giornali e accetta di accordare la sua approvazione solo ai fogli ufficiali, quelli che continuano la tradizione della Gazette di Renaudot o del Journal des savants. In Francia, le gazzette ufficiali «non sono mai state imbrattate - dice Voltaire nella voce “Gazzetta” dell'Enciclopedia - dalla maldicenza e sono sempre state scritte in maniera sufficientemente corretta. Non è così per le gazzette straniere. Quelle di Londra, eccezion fatta per quelle di corte, sono spesso piene di quelle indecenze che la libertà della nazione autorizza». E, un po' più tardi, egli dichiara: «La stampa è divenuta uno dei flagelli della società e un brigantaggio intollerabile.» Altezzosità sprezzante dell'uomo che scrive per la storia, verso la piccola folla di gente della carta stampata che egli disprezza. Ne biasima al tempo stesso l'indecenza e la leggerezza: la stampa periodica non giungerà mai alla nobiltà del libro che è frutto di riflessione.

Dello stesso inchiostro sono scritti i pareri di Diderot nell'Enciclopedia: «Tutte queste carte sono il cibo degli ignoranti, la risorsa di quelli che vogliono parlare e giudicare senza leggere, il flagello e il disgusto di quelli che lavorano. Essi non hanno mai aiutato un buon ingegno a produrre una buona riga, né hanno impedito a un cattivo autore di scrivere una cattiva opera.» E, alla voce «Giornalista», lo stesso Diderot accusa: «Abbiamo oggi in Francia una folla di giornali. Si è scoperto che era più facile recensire un buon libro che scrivere una buona riga, e molti spiriti sterili si sono votati a quello.» Allo stesso modo si sforza di stabilire una gerarchia tra i filosofi, da una parte, e gli imbratta-fogli dall'altro.

Quanto a Rousseau, il suo atteggiamento era ancora più burbero; le sue critiche ancora più acide. Nel 1755, appena saputo che un amico di Ginevra ha lanciato un giornale, gli scrive. «Eccovi dunque divenuto autore di periodici. Vi confesso che il vostro progetto non mi sorride quanto a voi; mi dispiace vedere uomini fatti per erigere monumenti accontentarsi di portare i materiali, e architetti farsi manovali. Che cos'è un periodico? Un'opera effimera e senza utilità, trascurata e disprezzata dai letterati, che serve solo a dare vanità alle donne e agli sciocchi, e la cui sorte, dopo aver brillato la mattina sulla toeletta, e quella di morire la sera nel guardaroba.»

Ed ecco infine Montesquieu che, nelle Lettere persiane, fa dire a Uzbec: «C'è una categoria di libri che noi, in Persia, non conosciamo e che qui mi sembrano molto alla moda, sono i giornali. Leggendoli, la pigrizia si sente adulata.»

Concludiamo con queste parole dell'abate Galiani a Madame d'Èpinay: «Dio vi preservi dalla libertà di stampa sancita per legge. Niente contribuisce maggiormente a rendere una nazione grossolana, a distruggere il gusto, a svilire l'eloquenza.»

Non stupisce dunque che, sul fronte opposto, la maggior parte dei giornalisti siano ostili ai filosofi, con un fenomeno cumulativo di esasperazione delle critiche reciproche.

J.N. Jeanneney, Storia dei media, Editori Riuniti, Roma 1996 (trad. it di A. Perissinotto) - pp. 41-43

 

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