ERGONOMIA
SICUREZZA E IGIENE DEL LAVORO: PREVEDIBILITA’ E PREVENIBILITA’ DI UN INFORTUNIO DA UN PUNTO DI VISTA DELLO PSICOLOGO - ERGONOMO

Mario Galliano
Dipartimento Scienze dell'Educazione
 Università di Torino
Enrico Pastore
Servizio Prevenzione e Protezione
Università di Torino
Marco Italo D'Orso
Dipartimento Medicina del Lavoro
 Università di Milano


L’introduzione nel panorama legislativo italiano del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n°626, e successive modificazioni, Decreto Legislativo 19 marzo 1996, n°242, ha portato sostanziali cambiamenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (Culotta e Di Lecce 1997a e b, Galliano e coll. 1998): da una parte, le competenze non riguardano esclusivamente il singolo datore di lavoro o i dirigenti, ma sono allargate ad ogni figura professionale presente in azienda, in particolare i membri del Servizio Prevenzione e Protezione (il RSP&P, i collaboratori), il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, gli addetti alle squadre gestione delle emergenze, i preposti; dall’altra, attraverso “il rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione” (art. 3, comma 1, lettera f), l’ergonomia assume un ruolo di maggiore importanza, ottenendo un più ampio riconoscimento giuridico (Gaudiano 1996, Jacovone 1996).

Poichè tale disciplina consiste nello studio del rapporto fra l’uomo, la macchina e l’ambiente, intesi sostanzialmente come un sistema integrato, data la vastità del campo di azione, essa necessita dell’apporto di conoscenze e metodologie di settori molto eterogenei fra loro, sia di tipo tecnico (fisico, chimico, meccanico, elettronico, informatico), sia di tipo umanistico (ricavate in particolare dalla medicina del lavoro, dalla sociologia, dalla psicologia). L’integrazione fra ogni componente è spesso difficoltosa, in quanto spesso per ragioni economiche e/o ideologiche l’aspetto tecnico prevale su quello umanistico, non riconoscendo quest’ultimo come l’altra faccia della medaglia. Con la supremazia della tecnica, è l’uomo che deve adattarsi all’ambiente e al proprio strumento di lavoro, cioè alla macchina (“l’uomo giusto al posto giusto” di Taylor).

 Tale approccio tuttavia implica uno sforzo non indifferente di apprendimento da parte dello operatore: ad esempio, basti pensare alla fatica, alla quantità di tempo e di denaro nell’imparare linguaggi di programmazione della prima generazione (Pascal, Cobol, ecc...). Inoltre spesso i risultati non sono sempre quelli sperati: ad esempio, il segnale visivo non è stato percepito o è stato percepito in ritardo in quanto piazzato fuori dal campo visivo abituale dell’operatore, troppo in alto, troppo in basso, parzialmente nascosto dietro un oggetto. Si stima che l’80 - 90% degli incidenti siano dovuti ad un errore umano (Heinrich e coll. 1980, Hale e Glendon 1987). Tuttavia molti possono essere imputabili ad un cattivo rapporto uomo - macchina, inteso come mancanza di coordinamento (mismatch) fra caratteristiche della macchina e quelle umane.

 
Occorre quindi integrare tale approccio con il suo opposto: adattare la macchina alle caratteristiche fisiche e psicologiche dell’uomo (antropometriche e fisiologiche da una parte, cognitive, emotive, relazionali dall’altra), attraverso un’analisi centrata sull’utente, quali focus group e test d’usabilità (Greenbaum 1988, Meinadier 1991, Rubin 1994): ad esempio, se l’utente sta utilizzando un software che calcola il percorso di un tragitto automobilistico ed è abituato ad utilizzare comandi situati sulla barra delle icone piuttosto che sulla barra dei menu, si prevederà un icona che servirà ad annullare le città di partenza e di arrivo, in modo tale che egli possa ricominciare da capo in caso di errore (Galliano e Dentis 1997).

In tal senso, per lo psicologo del lavoro con una formazione in ergonomia, i concetti di prevedibilità e prevenibilità di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, definiti rispettivamente come “la capacità di vedere in anticipo le cose che accadranno” e “la capacità di provvedere in anticipo, cercando di evitare qualcosa” (definizione fornita dal dizionario Garzanti della lingua italiana), sono collegati ai paradigmi di riferimento relativi all’azione e all’errore dell’individuo o degli individui coinvolti nei processi lavorativi.

Le azioni sono il frutto di un processo di percezione, di modelli mentali e di strategie, che nascono dal trattamento delle informazioni provenienti dal mondo esterno oppure immagazzinate nella memoria tramite esperienze precedenti (Galliano e coll. 1998). Fattori come ritmi di lavoro particolarmente pesanti con problemi di eccessivo affaticamento, stress, scarsa motivazione, capacità personali non adeguate alla mansione svolta, relazioni conflittuali o inesistenti con i colleghi di lavoro ed i superiori, incidono pesantemente sulla capacità di ragionamento e sull’efficienza lavorativa. Quest’ultimi possono essere classificati in vari modi (Leplat 1985), tuttavia il modello SRK di Rasmussen (1982 e 1986), integrato successivamente da Reason (1990), appare il più adeguato. Si distinguono sostanzialmente quattro principali categorie:


Errori legati alla capacità manuali (Slips).

L’individuo adotta la strategia giusta, le procedure adeguate, ma l’esecuzione è sbagliata. Sono errori legati a processi automatici, tipici di un’affaticamento eccessivo e della distrazione. Ad esempio, l’operatore sa che per fare funzionare la pressa per la fusione degli stampi deve premere il pulsante “protetto” di colore verde (di marcia), ma preme quello “a fungo” di colore rosso (di arresto), posto a fianco nell’apposito blocco di comandi. Si meraviglia che la macchina non funzioni, pensa che ci sia un guasto.

Errori legati alla procedura (Rule-based mistakes).

Si riferiscono all’esecuzione di azioni e di procedure: l’individuo inverte le azioni di una procedura (al posto di fare A - B - C - D - E, esegue A - B - D - C - E), ne omette qualcuna (A - B - D - E). L'esempio è tratto dal settore ospedaliero, con particolare riferimento alla mansione di anestesista (De Kayser e Nyssen 1993). Durante le operazioni, capita di avere bisogno di ulteriore plasma. La procedura corretta consiste nell’andare a reperire i sacchi di plasma necessari nel frigorifero e controllare se i dati apposti sul cartoncino allegato a ciascun sacchetto corrispondano a quelli inseriti sulla scheda tecnica; se in accordo, si inietta il plasma nel paziente, in caso contrario, trovare un sacco di plasma compatibile. Purtroppo, quel giorno nel frigo era rimasto un unico sacco destinato ad un altro paziente. Preso dalla fretta, l'anestesista ha preso dal frigo il plasma e l'ha direttamente iniettato nel paziente, dando per scontato che il sangue in questione fosse per quel paziente. Fino a questo stadio dell'analisi, si può considerare l'azione come un'omissione di procedura. Successivamente, egli esegue la verifica e si accorge dell'errore: si ha quindi un'inversione di procedura. Conseguenze per il paziente? Nessuna. Fortunatamente, plasma iniettato e gruppo sanguigno del paziente coincidevano.

Errori legati alla strategia (Knowledge-based mistakes).

Si riferiscono all’esecuzione di azioni e di procedure: l’individuo inverte le azioni di una procedura (al posto di fare A - B - C - D - E, esegue A - B - D - C - E), ne omette qualcuna (A - B - D - E). L'esempio è tratto dal settore ospedaliero, con particolare riferimento alla mansione di anestesista (De Kayser e Nyssen 1993). Durante le operazioni, capita di avere bisogno di ulteriore plasma. La procedura corretta consiste nell’andare a reperire i sacchi di plasma necessari nel frigorifero e controllare se i dati apposti sul cartoncino allegato a ciascun sacchetto corrispondano a quelli inseriti sulla scheda tecnica; se in accordo, si inietta il plasma nel paziente, in caso contrario, trovare un sacco di plasma compatibile. Purtroppo, quel giorno nel frigo era rimasto un unico sacco destinato ad un altro paziente. Preso dalla fretta, l'anestesista ha preso dal frigo il plasma e l'ha direttamente iniettato nel paziente, dando per scontato che il sangue in questione fosse per quel paziente. Fino a questo stadio dell'analisi, si può considerare l'azione come un'omissione di procedura. Successivamente, egli esegue la verifica e si accorge dell'errore: si ha quindi un'inversione di procedura. Conseguenze per il paziente? Nessuna. Fortunatamente, plasma iniettato e gruppo sanguigno del paziente coincidevano.

Le violazioni (violations).  

L’individuo infrange volontariamente la regola, per cui si rende perfettamente conto di ciò che fa senza tuttavia valutare le reali conseguenze. Le cattive abitudini cristallizzate (le cosiddette “furbizie”), gli stereotipi, hanno indebolito la sua capacità critica. Ad esempio, non fa uso dei dispositivi di protezione individuale previsti, come mettere il casco protettivo, perché “sono trent’anni che faccio questo mestiere e non mi è mai successo niente”, “perchè mi dà fastidio e non mi permette di sentire bene ciò che gli altri mi dicono”, “perchè me lo dice il capo” (sottinteso: di cui non ho per niente stima), “perchè me lo dice lui” (sottinteso: perchè è un principiante ed io non ho nulla da imparare da un pivello, laureato ed ingegnere appena arrivato), “perchè non c’è pericolo” (forse attuale, ma in futuro?).


      In conclusione, rispetto ai problemi di tipo tecnico (adeguamento dei locali e degli strumenti nei luoghi di lavoro) ed amministrativo (documento di valutazione dei rischi presenti in azienda, richieste di visite specialistiche ai lavoratori, ecc...), le difficoltà legate all’errore umano, di tipo psicologico - relazionale, sono spesso poco considerate dai datori di lavoro, trascurate o minimizzate, poste in secondo piano (“quando ci sarà tempo”, “quando ci saranno i fondi disponibili”), anche perchè, in molti casi, gli errori vengono corretti, compensati, ripresi con ulteriori azioni, con ulteriori procedure (Hale e Glendon 1987, De Kayser e Nyssen 1993). Al contrario, sono ben presenti in sede giuridica per accertare le eventuali responsabilità in caso di infortunio o di malattia professionale, per "scaricare", se possibile, la responsabilità unicamente sul lavoratore, sollevando l'azienda da qualsiasi coinvolgimento.

     In base a queste considerazioni, il D. Lgs. 626/94 non deve essere considerato come un puro adempimento legislativo, ma piuttosto come un possibile rinnovamento organizzativo, come cambiamento culturale, per una nuova cultura d’azienda legata alla sicurezza, che non tocca solo “il portafoglio” (le possibili sanzioni o il rischio di una vertenza giudiziaria), ma anche la “coscienza” di chi è implicato nei processi lavorativi (membri del consiglio d’amministrazione, dirigenti, impiegati, operai, ecc...). Le conseguenze di tale progetto possono essere considerate come un'aumento della redditività, aumento della soddisfazione sul lavoro, riduzione dello stress, riduzione dei conflitti, ma anche meno incidenti (Srisastava e Sen 1995). In modo più dettagliato, sono individuate alcune aree di intervento e relativi strumenti:


Una formazione adeguata.

Un piano di intervento formativo centrato più sul sapere (inteso come trasmissione di nozioni), piuttosto che sul saper fare (inteso come sperimentare personalmente le nozioni acquisite) e il saper essere (inteso come interiorizzazione delle nozioni acquisite), permette, in molti casi, il mantenimento della cristallizzazione di abitudini (le “furbizie”), di stereotipi, di automatismi dannosi per il lavoratore. Così, ad esempio, in un'esercitazione antincendio, oltre che alle spiegazioni necessarie, saranno previste esercitazioni pratico-guidate su come utilizzare un estintore, sarà simulato un ambiente pieno di "fumo", in cui il lavoratore viene bendato e gli si chiede di raggiungere l'uscita più vicina (affinchè non si faccia male, viene assistito da due altri partecipanti al corso pronti ad aiutarlo nei momenti di difficoltà), ecc...

Curare le relazioni interpersonali.

Significa instaurare un clima sereno di fiducia e di rispetto reciproco. Watzslawick e coll. (1952) hanno notato che nella comunicazione fra due o più persone vi sono due livelli: quello del contenuto (ciò che si dice) e quello della relazione (tutto ciò che la persona pensa di sè e dell’altro). Poichè il secondo aspetto è posto in un ordine gerarchico superiore, esso influenza fortemente il contenuto. Se la relazione si basa su principi poco “sani”, come la mancanza di stima reciproca ("questo dipendente non capisce niente, devo ripetere venti volte la stessa cosa" oppure "il mio capo è un incompetente, pensa solo ai suoi interessi"), il non tener conto delle esigenze, le aspirazioni di entrambe le parti (“mangia la minestra o salta dalla finestra, tanto ci sono venti altri lavoratori che vorrebbero questo posto di lavoro”, “se tanto mi dà tanto, il mio impegno è più che sufficiente”), il contenuto perde del suo valore. In questo modo, l’obiettivo è il “non-aiuto”, si passa la maggior parte del tempo a controllare “la legittimità” del messaggio trasmesso, a difendersi da “attacchi” reali o presunti, si disperdono energie preziose. Eppure ogni contributo è fondamentale. I “circoli della qualità” ne sono un esempio. Pollier (1992) in uno studio della percezione delle anomalie di un software da parte di ergonomi esperti, ha notato che ogni singolo professionista riesce al massimo a vedere il 30% circa di tutte le anomalie riscontrabili.


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